Candidato escluso dalla competizione: è stato condannato per falso ideologico quando era sindaco
Decisivo il riferimento a quanto previsto dalla cosiddetta ‘legge Severino’ in materia di condizioni ostative alla candidatura
Legittima l’esclusione dalla competizione elettorale del candidato che sia stato condannato ad una pena superiore a sei mesi per falso ideologico compiuto, nella qualità di sindaco, in occasione della attestazione dei controlli di spesa concernente i rimborsi da liquidare per la gestione di diversi progetti di accoglienza dei migranti.
Questa la secca presa di posizione dei giudici (sentenza numero 7381 del 18 settembre 2025 del Consiglio di Stato), i quali hanno fatto chiarezza sull’applicazione della cosiddetta ‘legge Severino’.
In generale, normativa alla mano, costituisce condizione ostativa alla candidatura l’aver subito una condanna definitiva per un delitto commesso con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o a un pubblico servizio e a condizione che la pena inflitta sia complessivamente superiore a sei mesi.
Analizzando la specifica vicenda, sono state respinte le obiezioni sollevate da un sindaco calabrese, escluso da una competizione elettorale regionale per l’incandidabilità attribuitagli per avere commesso il reato di falso ideologico, nella qualità di sindaco, in occasione della attestazione dei controlli di spesa concernente i rimborsi da liquidare per la gestione di diversi progetti di accoglienza dei migranti, reato messo in pratica con abuso dei poteri e con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione.
La normativa, cioè la ‘legge Severino’, prevede due ipotesi di esclusione per incandidabilità dalla competizione elettorale: da un lato, sono elencati taluni specifici delitti contro la pubblica amministrazione (ad esempio, peculato, malversazione di erogazioni pubbliche, indebita percezione di erogazioni pubbliche, concussione, etc.), mentre, dall’altro, è individuata, quale condizione ostativa alla candidatura, l’aver subito una condanna definitiva per qualsivoglia ulteriore delitto, purché commesso con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o a un pubblico servizio e a condizione che la pena inflitta sia complessivamente superiore a sei mesi.
Utile, secondo i giudici, il riferimento a quanto appurato dall’’Ufficio Elettorale’: in sostanza, si è in presenza, nella specifica vicenda, di un reato già avente come elemento costitutivo la commissione ad opera di un pubblico ufficiale e quindi implicante un abuso dei poteri o una violazione dei doveri inerenti alla pubblica funzione. Perciò, non può sussistere dubbio alcuno sulla circostanza che il delitto di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale violi le regole di imparzialità e trasparenza che presidiano il buon andamento della pubblica amministrazione, integrando l’abuso dei poteri e la violazione dei doveri, come previsto dalla ‘legge Severino’. Peraltro, la condotta criminosa attribuita al sindaco calabrese comporta, come desumibile dal capo di imputazione, ictu oculi l’abuso dei poteri di attestazione connessi alla sua posizione di pubblico ufficiale. Infine, l’abuso dei poteri e la violazione dei doveri inerenti alla pubblica funzione risultano coessenziali alla imputazione per la quale il sindaco ha riportato condanna definitiva, posto che egli è stato condannato per avere, quale sindaco, appunto, attestato falsamente di aver effettuato i controlli sui rendiconti propedeutici all’erogazione dei finanziamenti relativi al rimborso dei costi di gestione di determinati progetti, asseverandoli in assenza dei previsti presupposti.
Sia chiaro, l’accertamento di un simile reato (falsità ideologica del pubblico ufficiale) non comporta l’automatica incandidabilità ma soltanto un onere motivazionale attenuato a carico dell’organo deputato al vaglio di certe posizioni (‘Ufficio Elettorale Circoscrizionale’), organo il quale, in presenza di certi reati, ai fini della partecipazione elettorale non dovrà dunque necessariamente svolgere una particolare indagine ricostruttiva dei profili connessi all’abuso di ufficio o alla violazione di pubblici doveri, precisano i giudici.
Per chiudere il cerchio, infine, viene fatta una ulteriore precisazione: è irrilevante la circostanza che nel giudizio penale a carico del sindaco calabrese non sia stata accertata la sussistenza dell’aggravante per l’aver commesso il fatto con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione. Ciò in quanto l’abuso di potere oppure la violazione di doveri pubblici possono venire indifferentemente in rilievo come componenti materiali di una fattispecie criminosa autonoma o come semplici circostanze aggravanti di un reato non immediatamente lesivo degli interessi della pubblica amministrazione.